Il mio studio alla scoperta di Kitty Crowther continua, non è un’autrice da leggere ogni tanto per caso, va cercata, scovata, studiata e scoperta.
Grazie al prezioso contributo del consorzio bibliotecario della mia zona sono riuscita a prendere in prestito quasi tutta la sua bibliografia e tra i tanti albi e libri quello che per me ha lasciato il segno (per ora) è questa storia che dolcemente scava nelle nostre debolezze e le rende reali.

Tutto accade insieme a NIENTE, l’amico immaginario che tutti noi, grandi e piccoli, abbiamo in forme diverse, con obiettivi ben precisi a seconda della giornata.
Un NIENTE da amare, maltrattare e ritrovare al momento del bisogno.
Un NIENTE che ci aiuta a perderci e ritrovarci.
Un NIENTE che conosce la verità e non ci giudica, ma ci spinge ad affrontarla.

Penso alla potenza che avrebbe questa storia letta in una scuola secondaria di primo e secondo grado. Sono certa che tanti ragazzi darebbero un volto ideale al loro NIENTE e inizierebbero ad amarlo di più, a rispettarlo.
Questo albo parla di un lutto che in questo caso è ancora più pesante perché a doverlo gestire è una bambina, ma la potenza di Kitty Crowther è che chiunque può immedesimarsi nel bisogno di Lilà di affidarsi a NIENTE che non capisce niente, non mangia niente e non dice mai niente di cattivo.
L’albo è stato pubblicato 20 anni fa, quando la visione dell’infanzia era meno “adultocentrica”. Per questo ho ritenuto opportuno rispolverarlo…
Come è vero quello che dici Kitty Crowther: “Le etichette mi spaventano molto. Perchè dare sempre un nome alle cose? Sono profondamente convinta che le parole siano una trappola e possano essere pericolose”. La trappola in questo albo è pensare che tanto i nostri bambini e ragazzi non hanno bisogno di credere a certe cose perché noi gli bastiamo.
E invece quello che mi auguro è che tutti siano in grado di affidarsi a un NIENTE capace di scovare, come Lilà, un Pettazzurro e un Papavero blu dell’Himalaya.

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